di Giovanni Guarini, articolo originariamente pubblicato su Shiatsu News
Un nome vago, che richiama genericamente ad una pianta, ad un erba anonima, piantaggine, umile come la “pianta del piede” alla quale per somiglianza deve il nome. Eppure poche piante hanno un potere taumaturgico equiparabile a quello della Plantago Major o della Plantago Lanceolata. Lanceolata perché specie nelle varietà selvatiche che si trovano in Italia la punta della foglia assomiglia ad una lancia.
Questa nobile pianta ha goduto di grossa considerazione in tutti i continenti, non solo in quello euroasiatico da cui origina. Ancora oggi è usata tantissimo nelle tradizioni erboristiche sud-americane, pur essendo questa un’erba stata introdotta dai coloni europei. La pianta era chiamata dagli Indiani d’America “orma di uomo bianco” perché la sua diffusione accompagnava l’avanzata dell’uomo bianco in America del nord.
La piantaggine è eccellente sia per usi topici che per usi interni, se ne adoperano tutte le parti, le foglie, gli steli, i fiori, i semi e le radici, è un ottimo alimento e una medicina ad ampio raggio d’azione.
In occidente è stata usata per le irritazioni della pelle, le punture velenose, la tosse, la diarrea e come antiemorragico. Quest’ultima proprietà è una delle più eclatanti, infatti basta applicare una foglia stropicciata su una ferita sanguinante per notare dopo pochi minuti che il sanguinamento si è arrestato e che la pelle ha già iniziato il suo processo di guarigione. Oggi sappiamo che questa caratteristica è dovuta al potere degli iridoidi contenuti sotto forma di glicosidi, i quali oltre ad avere un potere antinfiammatorio simile ai FANS, sono antagonisti delle prostaglandine che oltre ad essere coinvolte nei processi infiammatori, sono dei vasodilatatori e quindi favoriscono il sanguinamento. Il contenuto di allantoina dal canto suo stimola la guarigione delle ferite accelerando la rigenerazione cellulare.
È una pianta che stimola la disintossicazione del fegato, aiuta ad eliminare gli acidi urici e per questo oltre che trovare impiego nei casi di disturbi urinari, porta sollievo a chi soffre di gotta, dovuta appunto alle cristallizzazioni di acidi urici che si accumulano nelle articolazioni e che come aghi taglienti provocano dolore cronico.
La presenza di tannini e mucillagini la rende utile in caso di emorroidi e perdite vaginali, ma anche per calmare il tratto digerente in generale. In laboratorio sono stati osservati potenti effetti antibatterici dovuti al suo glicoside aucubina, per esempio sulla Salmonella enterica, causa delle febbre tifoide, sulla Shigella dysenteriae e sullo Staphylococcus aureus, causa di infezioni suppurative a carico del sistema nervoso, della pelle, delle ossa, dell’apparato respiratorio e urinario.
Per i suddetti motivi trova impiego in tante sindromi dell’apparato urinario, dalla cistite alla pollachiuria (eccessiva frequenza della minzione) e si dimostra eccellente come trattamento topico di varie condizioni della pelle e della bocca, come le afte e le gengive infiammate.
Una nota interessante che differenzia la piantaggine dalle altre piante utili per la elle è il suo potere di espellere, per esempio una spina che si è conficcata bene dentro la pelle o l’aculeo di un ape a a seguito di una puntura.
Il Che Qian Zi 
La medicina tradizionale cinese prende in considerazione soprattutto i semi della piantaggine, i quali hanno una natura energetica fredda e un sapore dolce. Il sapore secondo la teoria dei “cinque elementi” determina l’azione di un alimento sul corpo. Il sapore dolce ha una tendenza energetica a rallentare e disintossicare, inoltre ha un effetto tonico in quanto nutre il Qi e il Sangue Xue. Il sapore indica anche gli organi che ne sono influenzati e infatti il Che Qian Zi ha un tropismo sui meridiani di Vescica, Reni, Polmoni e Fegato. Espelle l’umidità, regola i liquidi, abbassa lo Yang. Per queste sue caratteristiche energetiche trova impiego nelle sindromi Lin come l’urinazione frequente, soprattutto se dovute a Calore Umido, calma la diarrea muovendo liquidi dalle feci alla vescica, espelle il flegma e i catarri, dissolve il calore nei polmoni.
La sua azione detossificante la rende utile per le sindromi dovute al Calore di Fegato, per cui chiarifica gli occhi ed è efficace contro la cataratta. Viene adoperata anche in caso di edemi e disfunzioni sessuali.
Come e quando raccoglierla
La piantaggine è molto diffusa in tutte le regioni italiane, cresce in luoghi in penombra e predilige terreni ciottolosi. È molto facile da individuare grazie alle venature che corrono parallele allo stelo centrale della foglia, ma è consigliabile osservare bene le piante che crescono in un dato luogo, nei vari stadi di crescita, in modo da confermare l’identificazione considerando anche l’aspetto dei fiori e dei semi. Quando si è individuato un luogo in cui cresce, si può essere certi di trovarla sempre lì, se non si è esagerato con la raccolta, o se non si sono raccolte le radici.
È presente lungo tutto l’arco dell’anno, ma in inverno e in piena estate si sviluppa poco e lentamente.
Le foglie sono ottime in primavera quando sono più tenere, basta prenderle con due dita alla base e tirarle via. I semi sono facili da raccogliere a fine estate e inizio autunno quando si staccano facilmente dallo stelo.
La piantaggine può anche facilmente essere coltivata, partendo dal seme.
Usi in erboristeria
Dalle foglie fresche si può estrarre il succo o si possono far macerare se si vuole estrarre le abbondanti mucillagini. Lasciando le foglie ammollo si otterrà un liquido gelatinoso che può essere ingerito o usato topicamente. Le foglie fresche sono “pronte all’uso” in casi di tagli e abrasioni, basta stropicciarle un po’ prima di applicarle sulla parte lesa per qualche minuto a mo’ di cerotto, i risultati sono sorprendenti. Per le gengive infiammate e le afte può essere molto utile masticare foglie fresche, in quanto gli enzimi della saliva convertono la aucubina in aucubinegina, un antimicrobico ancora più potente.
Le foglie secche possono essere aggiunte a bevande o cibi e consumate dopo aver lasciato che per qualche minuto si ammorbidiscano. Basta ricordare di bere anche molta acqua per riequilibrare i liquidi intestinali che verranno abbondantemente assorbiti.
Con le foglie fresche o secche, e con i semi si può preparare un infuso sia in acqua che in olio. Nel primo caso basta lasciare qualche foglia in acqua bollente per 10 minuti, mentre per fare un oleolito bisogna immergere completamente le foglie o i semi in olio extravergine di oliva in un contenitore di vetro trasparente ed esporlo al sole per 2 o 3 settimane finché l’olio non ha assunto un colore verde intenso. Se si vuole avere cura di fare un oleolito che sia di migliore qualità ed edibile, conviene esporre il contenitore al sole non troppo intenso per un periodo più lungo, di solito una finestra che guarda ad est e prende qualche ora di sole al mattino è un’ottima scelta. In quest’ultimo caso l’oleolito sarà meno ossidato ma richiederà anche 2 o 3 mesi prima di assumere il bel colore verdone che indica la prontezza.
Saltare in padella i semi insieme a del sale aumenta il potenziale terapeutico.
Principi attivi
La piantaggine contiene buone dosi di Magnesio, Vitamine A, C e K, Tannini, Allantoina, Calcio, Apigenina, Aucubina, Acido Linoleico, Sorbitolo, Baicaleina, Mucillagini, Flavonoidi e altri minerali.
Precauzioni e controindicazioni
La pianta è ritenuta edibile e quindi non tossica, ma la presenza di vitamina K la rende un antagonista degli anticoagulanti. Può inoltre influenzare negativamente l’assorbimento a livello intestinale di alcuni composti medicinali come il litio o la digossina. Chi assume diuretici inoltre deve fare attenzione perché l’azione combinata con la pianta può portare ad espellere troppo potassio.
È inoltre sconsigliato l’uso in gravidanza e nel caso di deficit di Yang Qi.
Usi in cucina
Le foglie giovani e tenere son ottime nelle insalate, quelle più dure e amare sono da preferire cotte.
Il sapore ricorda quello degli spinaci e della bietola, con una punta più amara, ma possono sostituire queste verdure in qualunque ricetta. Ottima nelle misticanze, specialmente in primavera quando cominciano a mancare ingredienti “amaricanti” come le cicorielle a bilanciare il gusto dolce delle altre piante selvatiche.
Sono ottime nelle zuppe e in tutti i piatti a base di verdure.
I semi hanno un sapore più dolce e leggermente nocciolato, per cui possono arricchire qualunque preparazione, compresi pane e focacce, e possono essere usati come condimento.
Focaccia ripiena
per la focaccia
350 gr di farina tipo 0
1 patata media bollita e schiacciata
1/2 cucchiaino di sale
1 cucchiaio di olio di oliva
7 gr di lievito secco per pizza
180 ml di acqua tiepida
per il ripieno
formaggio feta o mozzarella a scelta
100 gr foglie di piantaggine fresche.
200 gr cipolle rosse.
10 pomodorini
Tagliare le cipolle a julienne e metterle in ammollo nell’acqua tiepida per ½ ora (questo le renderà più dolci e digeribili).
Dopo aver sciolto il lievito nell’acqua, impastare gli ingredienti usando le tecniche preferite o tramandate, ma soprattutto impastare con amore; quando si impasta qualcosa usando le mani, quest’ultimo ingrediente risulta di vitale importanza.
Lasciare lievitare l’impasto per almeno mezz’ora, dopo di che lavorarlo impastando per qualche minuto, poi dividerlo in due parti e lasciare lievitare anche per 2 o 3 ore a seconda della forza della farina che si usa.
Intanto scolare le cipolle e saltarle a fuoco vivo in olio evo con una foglia di alloro, finché non siano ben caramellate, e sbollentare le foglie di piantaggine in poca acqua per 3-4 minuti.
Spianare il primo disco di pasta e adagiarlo su una teglia ben oliata, riempire con le cipolle, le foglie di piantaggine, i pomodorini a spicchi, sale, pepe e, se si vuole, olive nere e peperoncino. Aggiungere il formaggio o la mozzarella, condire con un filo di olio evo. Spianare il secondo disco di pasta e adagiarlo a coprire la focaccia, chiudere i bordi pizzicandoli come faceva la nonna, praticare qualche foro al centro per evitare che la focaccia si gonfi, spennellare la superficie con olio evo e, se si hanno a disposizione, spolverare con i semi di piantaggine e sale.
Cuocere in forno a 250 gradi per 20 minuti o fino a che la crosta sia ben dorata.
Degustare con un buon Primitivo selvaggio, un Lambrusco secco, o uno Chardonnay anche frizzante. Oppure scegliere una buona birra IPA.
Etnobotanica
di Germana Scafetta
“Erbacce” comuni, che nascono ai bordi delle strade o su sentieri di terra battuta, più o meno anonime, ma resistenti e caparbie: un’antica leggenda narra di una fanciulla che aspettò talmente a lungo il suo amato lungo la strada che gli dei, impietositi, la trasformarono in piantaggine.
Era nota agli antichi con un nome magico di origine greca: Arnoglossa, “lingua di ariete”, poiché rappresentava allegoricamente il segno dell’ariete.
L’antica medicina cinese ha sempre tenuto in alta stima e considerazione la piantaggine, così come gli antichi Greci e Romani. Temisone di Laodicea, fondatore della scuola metodica di medicina nel I sec. a.C., le dedicò un trattato, il “De plantagine”, purtroppo non pervenuto.
Già Alessandro Magno e Dioscoride (I sec. d.C., De materia medica) attribuivano alla piantaggine poteri curativi contro le ulcere, per fermare le emorragie e cicatrizzare i tagli e le ferite, contro i morsi dei cani, le infiammazioni e la dissenteria. Ma anche per gli epilettici, gli asmatici e coloro che soffrivano di piaghe in bocca. Il succo delle foglie era usato per il mal d’orecchie e per dare sollievo agli occhi. A tal proposito, aggiunge il suo contemporaneo Columella, che si occupava di agricoltura, sarebbe utile creare un collirio mischiando il succo della Piantaggine con del miele estratto dai favi senza l’uso del fumo o, in mancanza di questo, con del miele di timo (Columella, De re rustica). L ’elenco di Dioscoride prosegue: la Piantaggine è utile per il sanguinamento delle gengive, bevuta assieme al vino. La radice, inoltre, allevierebbe il mal di denti. Anche Plinio il Vecchio ricorda le sue proprietà cicatrizzanti, infatti descrive il succo della piantaggine fresca come rimedio contro le conseguenze dei morsi di animali selvatici, e delle punture dello scorpione e la descrive utile contro il catarro (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia).
Fu una delle erbe sacre degli Anglosassoni, che la usavano come rimedio universale in caso di febbre, dolori ai reni, morsi velenosi, emorroidi, ulcere, ferite e molto altro.
Anche gli antichi Germani la conoscevano, già prima della colonizzazione dei Romani, e la consideravano pianta medicinale di alto valore.
Dall’antichità al medioevo: tra gli altri impieghi, avendo notevole effetto astringente, la celebre Trotula De Ruggiero della Scuola Medica Salernitana, prima donna medico della storia, sosteneva che provocava una riduzione della cavità vaginale, “ut etiam corrupta appareat virgo” in modo da far sembrare vergine chi non lo era più. .
Trovava impiego anche per le emorroidi: in tal caso era consigliato un semicupio con decotto di Piantaggine, Noce e Sambuco. Una radice di piantaggine portata al collo preservava da molte malattie fra le quali la febbre malarica e messa sotto il cuscino favoriva la conoscenza di cose lontane o ignote; inoltre era utilizzata per vaticinare, spezzando una foglia e contando i fili che restavano sporgenti si prediceva il futuro.
La piantaggine era anche indicata per annientare gli incantesimi fatti con i filtri d’amore, e la stessa Santa Ildegarda (XII sec.,) a questo scopo ne raccomandava l’uso in grandi dosi.
Tutti i libri di Erboristeria del Medioevo sono pieni di elogi per la piantaggine: veniva infatti coltivata nei giardini dei monasteri e fa la sua comparsa, nonostante il suo aspetto umile e dimesso, anche nell’arte e nella letteratura. Presente nei quadri rinascimentali, come simbolo di umiltà, in quanto soggetta al calpestio. Nel XVI secolo compare negli acquarelli Albrecht Dürer (La grande zolla).
Shakespeare le dedica qualche verso in Romeo e Giulietta (Atto primo, scena seconda).
Semi di Piantaggine compaiono negli stomaci delle mummie di palude, uomini dell’Europa del nord i cui corpi si sono conservati fino ad oggi, mummificati naturalmente grazie all’ambiente delle torbiere (III-V sec. d.C.).
Secondo la teoria delle Signature, la plantago reca segnatura dei nervi e delle vene e persino la figura chiromantica delle mani e dei piedi, secondo la disposizione delle sue foglie.
Usi veterinari:
Le foglie fresche e intere venivano date da mangiare ai conigli, come integratore alimentare, antisettico e come “rinfrescante”, oltre che per accrescerne lo sviluppo. I semi erano usati come mangime per gli uccelli granivori per migliorarne il piumaggio.
Solarizzata, come rimedio floreale (tipo Fiori di Bach), è utile per “chi è vittima della tristezza e malinconia e si è rassegnato a questo stato: aiuta a trovare la forza di vivere nella realtà e ad apprezzare il lavoro e la vita, accettando la situazione”.
Nota: la legge raccomanda di ricordare che le suddette affermazioni sono puramente discorsive e non intendono essere indicazioni terapeutiche, per le quali è sempre bene consultare un bravo medico.
FONTI:
Manuale di Fiori ed Erbe, L. Satanassi e U. Bosch
Il serto di Iside, vol I, A.Angelini
Il tocco lieve della piantaggine, S.Siviero
http://www.taccuinistorici.it/ita/
American Indian Healing Arts by E. Barrie Kavasch and Karen Baar
The Chinese Herbalist’s Handbook by Dagmar Ebling with Steve Swart
Zhang Zhen Qiu, et al. Che qian zi pharmaceutical effects.
Journal of Traditional Chinese Medicine Material 1996;19(2):87-89.